Powell fa il falco, ma i mercati scommettono di no

Anche la Federal Reserve, la banca centrale statunitense, continua ad agire da “falco” e ad adottare una politica economica restrittiva molto aggressiva: lo scorso 2 novembre l’istituto guidato da Jerome Powell ha nuovamente alzato i tassi d’interesse di 75 punti base, portandoli in un’area compresa tra il 3,75% e il 4%. Per la Fed si tratta dell’ennesimo forte rialzo, il quarto consecutivo da tre quarti di punto e il sesto da inizio anno – a marzo c’era stato un incremento dello 0,25% e a maggio uno dello 0,50% – nel tentativo di contrastare la crescita dell’inflazione.

OBIETTIVO: RIDURRE L’INFLAZIONE

La banca centrale statunitense ha fatto sapere di essere all’opera per “raggiungere la massima occupazione e un tasso di inflazione del 2% nel lungo periodo”, a fronte di un costo della vita che a settembre si è attestato negli Stati Uniti all’8,2%. Secondo la Fed “gli indicatori recenti indicano una crescita modesta della spesa e della produzione”, mentre “negli ultimi mesi l’incremento dei posti di lavoro è stato robusto e il tasso di disoccupazione è rimasto basso”. Allo stesso tempo, “l’inflazione rimane elevata, a causa degli squilibri della domanda e dell’offerta legati alla pandemia, all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia e a pressioni più ampie sui prezzi”.[/vc_column_text]

I MERCATI NON SONO CROLLATI

La mossa della Federal Reserve è stata ancora una volta decisa, con un rialzo importante: tuttavia i prezzi degli asset, dopo un breve shock iniziale, come è successo in Europa sono saliti invece di scendere. Questo nonostante negli Usa i tassi potrebbero salire ulteriormente rispetto al nuovo rialzo dello 0,50% che i mercati stanno già scontando: secondo alcuni osservatori i tassi statunitensi potrebbero presto arrivare al 5% e lo stesso Powell ha fatto intendere che la politica restrittiva continuerà e sarà ancora più rigida. Questo avrebbe dovuto provocare un crollo dei mercati e in effetti è quello che è accaduto inizialmente: ma poi il vento è cambiato.

DATI MACRO IN PEGGIORAMENTO

In realtà nei giorni successivi i mercati sono risaliti, sia per quanto riguarda i titoli azionari sia per quelli obbligazionari, perché in realtà secondo molti importanti gestori i dati macroeconomici, già negativi, peggioreranno nei prossimi mesi, rendendo di fatto difficile per la Fed alzare ulteriormente i tassi. Molto probabilmente la banca centrale statunitense sarà costretta a fermarsi al 4,5%; molti operatori del mercato stanno scommettendo sul fatto che la Fed si fermi perché di fronte a dati economici veramente negativi non se la sentirà di portare i tassi al 5%.

UN RALLENTAMENTO APPROPRIATO

Da parte sua, il presidente Jerome Powell ha confermato in conferenza stampa che l’intenzione dell’istituto centrale statunitense è di riportare “l’inflazione al 2%, e abbiamo gli strumenti per farlo”. Secondo Powell saranno “appropriati” altri rialzi dei tassi e una politica monetaria restrittiva sarà necessaria “per un certo tempo”. Tuttavia, come ha sottolineato lo stesso numero uno della Fed, “a un certo punto sarà appropriato rallentare l’andamento dei rialzi” anche se ancora non è chiaro quale sarà il livello da raggiungere per riportare l’inflazione al livello di guardia del 2%. Il rallentamento del ritmo del rialzo dei tassi probabilmente potrebbe iniziare già a dicembre, o al limite a febbraio, ma “ancora non abbiamo deciso”.

UNO SCENARIO IN PEGGIORAMENTO

Di certo, come ha ammesso lo stesso Powell, l’economia statunitense “ha molto rallentato negli ultimi mesi e gli indicatori più recenti puntano a livelli di spesa modesti”; tuttavia, ha aggiunto, “l’occupazione resta molto alta” e il “mercato del lavoro è squilibrato”, mentre i dati sull’inflazione “si sono nuovamente rivelati superiori alle attese”. Uno scenario che probabilmente porterà la Federal Reserve a rivedere la sua politica economica: per questo i mercati non si sono mostrati spaventati per l’ultimo grande rialzo.

 

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